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PERUGIA
Avevo percorso l'Umbria da Spoleto sino a Perugia. Fervidi erano stati i miei giorni dinanzi a quella bella terra dolce e calma come un mare che a pena suoni, dinanzi a quelle grandi opere create per il silenzio e per la pace la vita si era accresciuta di dolcezze conte di rose soavi.
Bellissima mi parve la città etrusca cinta di una corona virente, lodata dai canti delle rondini e circondata da lontane corone di rose e di viole insieme unite da bianchi nastri di rivi e di torrenti. Tu eri bella, o prediletta, soave e splendente come aurora. Quando ti rividi dopo sì lungo tempo il tuo ricordo era vanito come nella lontananza felice dell'infanzia, per questo venni a te con anima candida. Camminai fra le vecchie pietre, venni alla fontana sigillata, scesi sotto la maestà delle volte verso un luogo basso dove piccoli nidi son chiusi da orticelli fioriti sino al prato dove sorge S. Bernardino. Era un'ora d'oro; come la veste dell'Angelo eletto vidi l'Oratorio splendere per sue gemme inestimabili. Il marmo come l'avorio, l'azzurro e il verde divini, gli alati festanti canori intorno all'orifiamma, altre immagini dalle ricche vesti componevano un'armonia indimenticabile con 1'eterna poesia delle piante e delle montagne lontane.
O Agostino di Duccio, tu non conosci la sofferenza e lo strazio del martirio, ma il tripudio; le tue belle dee pane, le tue vittorie vestite di vento vivono qui nell'ansito, nella corsa, nel ritmo e nel suono come al Tempio d'Isotta ariminense!
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Poi a Rimini, quando vidi nel tempio Malatestiano quella ignobile pittura della prima cappella, pensai che fosse opera vandalica di un tempo ormai passato; ma a Perugia oggi ancor lavora chi dipinse in Duomo, alla Porziuncola e in altre chiese; ancora arde la fornace dove si fabbricano quelle vetrate che distruggono l'armonia di S. Francesco in Assisi e di tanti templi, inondandoli con torrenti di veleno.
LORETO
Sorge nel suolo un tempo ricco di laureti odorosi e guarda il sole oriente la cupola di Giuliano da Sangallo che ha per sorella maggiore la tua, o Brunellesco, che innalzasti sulla terra dei fiori. E quando il litorale adriano è adorno di viti ricche di uve mature intrecciate in festoni, e le stornellatrici sotto il Sagittario prolungano in delizia i canti per le colline, vengono le compnie degli iconolatri con grida ad invocar grazie e a porgere le mani e i polsi per il tatuaggio.
Nella basilica l'incenso non vince il lezzo umano, ed è dolce riposare nella sacrestia dove nella cupola splende il cielo di Melozzo; un cielo che ci distacca da tutte le cose e ci appare meravigliosamente puro e ardente, canoro e luminoso; dove gli alati, ricche le vesti gonfie e palpitanti, come quelle delle vittorie nell'Ellade felice, compongono una corona per il nostro più ardente sogno. Mai aveva assistito a più alta trasfigurazione, mai aveva udito in me ripercuotersi un'onda di armonia così sovrana come allora al cospetto della splendente rosa. Questo dono mi parve che arricchisse la mia anima di aspirazioni infinite, e quello chiamai il pellegrinaggio verso il cielo, il mio cielo. Tutte le altre opere della basilica, i bronzi del battistero, l'altra sacrestia di Signorelli, i marmi della casa santa sembravano di poco valore.
Intorno a quell'atmosfera divina creata da Melozzo, intorno a quella luce palpitante, ecco le tristi cose. Pare legge fatale che nel più dolce fiore viva animale ripugnante e venefico, che vicino alle pure sorgenti si rinvenga il putre fango che le insozza. Intorno ai luoghi sacri, ove la bellezza si compone un cerchio che possiamo assomigliare al nobile castello che Dante recinse con sette mura e con l'acqua, nessuna piccola anima dovrebbe accostarsi con piccole mani, nessun interesse o idolatria, nessuna altra cosa estranea e letifera dovrebbe deturpare con le più gravi offese. Così nella chiesa inferiore di Assisi la mia anima fu presa dal disgusto per un' arietta dell'organo venuta a spezzare la mia serena contemplazione.
Oggi noi vediamo, per esempio, spogliare S. Vitale delle inutili opere barocche per il desiderio di vedere l'originaria armonia, e così vorremmo tolta la insignificante pittura dalla cupola di S. Maria del Fiore; e se si pensi che queste opere hanno un carattere fisso e personale e ci rappresentano un momento importante, certo più di quello del secolo ora scorso, noi senza nessuna aspirazione, ancor servi di una triste maniera, quella che chiamiamo vera, che segna l'ultimo grado della discesa, quando poniamo la nostra opera su un monumento antico dovremmo pensare che fra non molto, forse fra pochi anni, sarà di necessità tolta a forza di piccone.
Questo io dico per la cupola dalle belle linee che a Loreto ha dipinto il Maccari.
È triste pensare all'abbandono di tanti monumenti, e alla caduta del campanile di S. Marco, quando si spendono somme enormi perchè un pittore verista asservisca e vesta ignobilmente, secondo la sua meschina visione delle cose, una pura forma creata come aspirazione verso l'alto. Quale bisogno urgente di decorare la cupola e quale diritto? Un monumento è patrimonio universale, nessun diritto di leggi, di commissioni o di accademie possono toccarlo.
Nessun monumento antico deve compiersi, sia con morte ricostruzioni o falsificazioni come a S. Maria del Fiore, sia con brutte accademie come a Rimini, sia con moderne espressioni veristiche (ormai tramontate) come a Loreto. Sino a tanto che noi non avremo un forte carattere individuale e un'impronta sicura non dovremo toccare nessun monumento; basta con questa borghese mania di ripulire, di compiere e di allineare!
ASCOLI
In quella natale terra picena, dove un tempo le anime candide dei Crivelli migrarono, io vidi altre opere di ignominia.
Per andare ad Ascoli rupestra, passando il ponte romano, fra quelle ripe altissime, di fronte alla cima dentata dell'Ascensione, il profondo sussurro del fiume e il luogo roccioso mi ricordarono il pellegrinaggio al santuario subiacense; quella chiesa deserta e cupa dove la melodia dell'Aniene invisibile svegliava col favor degli echi suoni profondi come se salissero da un organo nascosto.
Presso le ripe del Castellano, l'altro fiume profondo che circonda Ascoli, sorge il bel Duomo di pietra arricchito con tanti secoli di lavoro. che custodisce la pala ricchissima di Carlo Crivelli. L'abside, la sella cupola lombarda, le tre grandi navi del 400, tutto questo amoroso lavoro dei secoli ora è stato distrutto da una appariscente pittura dell'accademico Mariani. Ora noi ci troviamo dinanzi ad un ingombro di elementi diversissimi, di imagini e motivi presi o dalle absidi romane o dai musaici di Ravenna o da elementi ogivali e del rinascimento, ma tutto sciupato e imbecillito da una mano accademica che ha subita l'influenza del movimento verista, in modo che le pecorelle di S. Clemente sono divenute belle lisce e pulite còn tutti i peluzzi, e le figure bianche tra gli alberi di palma prese da S. Apollinare nuovo, hanno un bel lenzuolo con tutte le pieguzze e le variazioni di toni caldi e freddi.
L'illustre architetto Sacconi, pubblicando un bel libro sui monumenti delle Marche e dell'Umbria, parlando di queste pitture dice che «costituiscono una delle più belle pagine della pittura contemporanea.» L'artista entusiasta che io conosco, lo studioso e dotto conoscitore di opere antiche, l'architetto e il decoratore che ci darà il grande monumento romano, per quale piccola condiscendenza ha scritta questa pietosa bugia? Quale concetto si potrebbe avere di lui conoscendo solo questo suo giudizio?
DAL MARE ADRIANO
In quel lembo di lido adriano cosi dolce nella primavera, pieno di delizia nel maggio per gli aranceti in fiore, ricco di lauri, ardente nell'estate e così ricco di belle vele accese che alla prima luce sotto la stella d'amore salpano da S. Benedetto; dove il meriggio crea sulle acque un bagliore meraviglioso e la calura fa vaporar le arene cocenti, dove le fanciulle dalle vesti succinte e palpitanti riempiono la riva di un batter d'ali, e al tramonto si spande una luce di prodigio
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sulle vele, sul cielo e sulle acque, e la grande sinfonia equorea riempie tutta la costa dalla foce del Tronto a quella del Tesino; dalla valle del fiume che scopre la montagna dei Fiori alla foce del torrente, dove tra le dolci colline verdi appare la visione delle Sibille, in quel piccolo lembo una gioia foriera, che io sentii propizia ad una rivelazione, mi ritenne a lungo, toccando il sole il segno del Leone.
Il gran mare splendente mi attrasse e mi prese come un'amante voluttuosa. Gioii e obliai, giacqui sulle calde arene come su un letto di piacere, cullato dallo sciacquio lieve e dolce, sentendo un sangue ardentissimo pulsare nelle vene mentre la lusinga soave, come sorrisi di sirene, da presso sempre più mi addolciva l'anima; seguii con lo sguardo le vele purpuree e dorate come si inseguono le ali del sogno, corsi folle tra le schiume e mi bagnai di rugiada nelle notti lunari, mentre la grande orchestra fingeva una sinfonia profonda svegliando in me un mondo ancora latente.
Conobbi la gioia di vivere, la libertà sconfinata senza gioghi di false moralità, l'impeto irresistibile verso il moto, l'ebbrezza, il delirio in accordo con la gioia del mare. E non solo in me, ma in tutti vidi palese quest'ansia per la gioia, per la follia, per l'impeto, come nelle Dionisie antiche, come nelle figurazioni di vasi e di bassorilievi greci. Dinanzi al fascino di quella forza libera, gioiosa, terribile, oltrepossente, a quella potenza vivificatrice gli uomini asserviti dal lungo lavoro o da meschine necessità riacquistano la vita piena.
Scendono dalle colline una sola volta gli uomini della gleba, e quelli che le anguste cose e le vili opere hanno tenuto nell'anno come prigioni, vengono in festa con le mandrie, con i cavalli e con i buoi, e nudi, bronzei, adusti cavalcano sin dove l'acqua non li sommerge, e tese le corde, sul gioco dei flutti saltano e s'impennano i torelli candidi dando la visione delle Panatenee.
O mare liberatore, o pana glorificazione della vita!
Quando il sole scende dietro i monti sibillini tornano al lido le paranzelle innumerevoli, e tutte le vele hanno un colore ricco e ardente mentre il mare impallidisce, e tutto è vivo lungo la riva pana. Dalla poppa della paranza ornata di simboli un giovine nudo, bellissimo come un bronzo antico, si slancia tra le onde mentre la grande vela, che porta al sommo il segno della vigilanza, cala lentamente palpitando. Tutte le vele sono ornate di pitture, tutte le prore e tutte le poppe hanno le immagini. I simboli delle acque, simili a quelli di Micene, girano intorno alla poppa e sotto le escubie, recingono il nome; l'acqua a pena mossa, l'acqua che si attorce, l'acqua che manda lingue terribili come se ardessero, l'acqua che ha il fiore al sommo delle onde, e tra questa poesia del mare i nomi antichi Eusonia - Sibilla - Guerino - Regina - Alessandrina - Italia - e poi le sirene, il gallo, sole e la luna, il pesce, l'anfora.
In una notte dolce e limpida, tranquilla, vigile io ascoltavo il respiro del mare, dove qualche tremulo e vivo accordo ad intervalli emergeva come un richiamo. Nella profondità glauca del cielo e delle acque era una palpitante chiarità siderale.
Un canto lontano di donna dolcissimo. Attesi. Il canto s'avvicinò, divenne argentino, limpidissimo, triste e dolce al principio poi appassionato e moriva come n un pianto, lentamente.
Non si udiva passo, non si vedeva ombra tra le frondi, e, la voce ripeteva sempre lo stesso canto allontanandosi verso il Tronto. Sembrava emersa dalla terra, la voce delle cose, come se la divina notte esprimesse cosi la sua armonia, seguendo il mare il suo accordo profondo. Parvemi allora che la mia anima si sommergesse e si dissolvesse nell'incantamento notturno.
Apparvero le prime luci sotto la stella del mattino, il mare verso la riva aveva un delicato color trasparente, dolci ministre a gara versavan da alte anfore d'argento la rugiada cara alle piante; e il giardino e tutti gli ulivi avevano questa luminosa pioggia mattinale.
Una fontanella gorgogliante, che aveva in cima un fiore luminoso, palpitava chiusa nella tazza marmorea. Non era l'imagine della vita? Una vita così angusta? Ma laggiù tra gli ulivi e gli aranci un rivo luminoso corre sino al chiaro lido per fondersi nel gran palpito del mare.
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